Archivio della Memoria

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Matrimoni dal 1884 al 1959

IL FIDANZAMENTO

Sino alla fine degli anni ‘50 del sec. XX l’autonomia dei giovani era fortemente condizionata dalla limitata possibilità di incontrarsi tra ragazzi e ragazze, essendo la vita comunitaria organizzata secondo una rigida separazione dei sessi.
Tra le occasioni di approccio vi erano le feste locali e nei paesi vicini, le funzioni liturgiche in chiesa e le serate nelle stalle durante il periodo invernale.
Si racconta che, per trovare il fidanzato o la fidanzata, era consigliato recarsi in pellegrinaggio al santuario di San Gerolamo, e lì salire la Scala santa in ginocchio con in mano un sassolino. 

“UL CINCH E MÈZ”

Molti matrimoni erano in parte combinati dal “sensale”, mediatore molto comune nel mondo contadino, chiamato a svolgere una mediazione particolare: “ul cinch e mèz”. Spesso i parenti dei giovani, che desideravano sposarsi, incaricavano questo personaggio di organizzare un primo incontro tra i due e, se vi era gradimento reciproco, aveva inizio il fidanzamento. Il giovane cominciava a frequentare la casa della futura sposa (ul murùus èl vò in cò) e, dopo circa un anno, si celebrava il matrimonio. A questo punto era uso da parte della futura sposa donare al mediatore “una camicia”.

FREQUENTARSI… CHE FATICA

Quando nasceva un sentimento tra due giovani, senza mediazione, si diceva comunemente “i düü i sè pàrlen”, a indicare il dialogo molto discreto ma necessario per iniziare una conoscenza più profonda.
La frequentazione in casa, “nò a murusa”, era regolata da norme molto severe: essa avveniva solo la domenica e il giovedì, successivamente anche al martedì, e sempre alla presenza di qualche familiare.  Fino alla fine degli anni ’40 ai fidanzati non era consentito uscire insieme, se non per le gite ai santuari limitrofi, visite a parenti o feste nei paesi vicini, ma sempre in compagnia di altre persone. 

LA DOTE

Fino alla fine della II Guerra Mondiale, i novelli sposi, se non in casi eccezionali, non costituivano una famiglia autonoma, ma andavano a vivere nella casa di origine dello sposo, ovvero “se nava in cò”; per questo la famiglia del fidanzato sosteneva le spese più rilevanti del matrimonio.
La famiglia della sposa contribuiva in varie forme: il corredo, “la dóta”, preparata dalle ragazze fin dall’adolescenza, con una notevole pratica nel cucire, l’arte del ricamo, tombolo, uncinetto, il lavoro a maglia ecc… Inoltre provvedeva per i materassi di lana, le coperte per il letto, “i dubi”, e il comò o “canterò”.  

LA CARDATURA DELLA LANA

Prima di portare la lana “al materazée” per la confezione dei materassi, la promessa sposa invitava a casa le amiche del cuore, le colleghe di lavoro, le vicine di casa ecc. per aiutarla a “scartò la lóna per fò i materàz”; era una serata molto allegra, interessante e frizzante, in particolare per le ragazze più giovani.
Alla fine la fidanza “la fava pruò i benìis”, ovvero offriva alle amiche i confetti.

LA QUESTIONE FINANZIARIA

Molto più consistenti erano le spese che i genitori dello sposo dovevano sostenere: si trattava di acquistare i mobili per la camera da letto, la trapunta, la prepunta”, e organizzare le nozze.
Spettava sempre a loro condurre la futura sposa, accompagnata dalla mamma o da una parente, dall”uréves” per la scelta dei gioielli, “l’óor”: l’anello di fidanzamento, la fede “la véra”, la spilla, gli orecchini “i uregét”; inoltre dal negoziante di stoffe per l’acquisto del tessuto con cui confezionare “ul vesti de spusa”.

L’ABITO 

Nei nostri paesi la sposa raramente indossava l’abito bianco sino alla fine degli anni ’40; generalmente si usava un colore chiaro come l’azzurro, il grigio perla o il beige. Il soprabito era scuro e il velo nero. In inverno, sopra l’abito la sposa portava il cappotto, di ottima stoffa e fattura con il collo di pelliccia, che sarebbe poi stato utilizzato per tutta la vita. Lo sposo era in abito blu o nero con camicia bianca (regalata dalla sposa) e cravatta. 

IL CONSENSO E L’INVITO A NOZZE

Circa un mese prima del matrimonio, la coppia andava a prendere il consenso matrimoniale – “tœ ‘l cunséens”- dal parroco e dall’ufficiale di stato civile del paese della donna. Terminati gli atti ufficiali, si festeggiava con un pranzo in casa della futura sposa.
Nell’intervallo di tempo tra il consenso e il matrimonio si distribuivano i confetti, “purtò i benìis” agli invitati a nozze: parenti e amici, i quali contraccambiavo con i regali. In questa occasione, finalmente, ai promessi sposi era permesso di muoversi senza accompagnatori.

LA VIGILIA

Alla vigilia delle nozze i fidanzati erano tenuti ad accostarsi alla confessione che però solitamente, anche se compaesani, si confessavano in chiese diverse: la sposa dal parroco nella chiesa parrocchiale, lo sposo generalmente si recava o alla Madonna del Bosco oppure a S. Gerolamo.
Un altro gesto augurale segnava la sera della vigilia del matrimonio al paese della ragazza: “la scampanada de la spusa”, concerto di campane che durava parecchio tempo. Esso era un omaggio alla sposa da parte dello sposo, ma anche un invito a tutta la comunità a partecipare all’evento: “dumòn ghè la spusa”. Per avere questo servizio lo sposo dava un piccolo compenso al sacrestano: di solito era un invito all’osteria più vicina.

LA CONSEGNA DEL BOUQUET

In Brianza, ma anche nei territori limitrofi, non c’era l’usanza scaramantica che la sposa non dovesse essere vista dallo sposo prima della cerimonia; anzi, era proprio quest’ultimo che si recava a casa della promessa per donarle, con un gesto molto romantico, il bouquet.

IL CORTEO NUZIALE

L’usanza più comune prevedeva che il corteo si snodasse a piedi partendo dalla casa della sposa, anche se la chiesa era molto distante e persino in caso di pioggia o neve, eventualità non rara perché frequenti erano i matrimoni nei mesi invernali. 
Apriva il corteo una o più bambine con un cestino o un mazzo di fiori; seguiva la sposa al braccio del padre, lo sposo con la madre e quindi tutti gli invitati.  

LA POESIA

Prima o dopo la celebrazione del matrimonio, molto frequente era la recita agli sposi di una poesia, adatta alla circostanza, da parte di una bambina; erano le Suore presenti in parrocchia ad insegnare il testo e l’interpretazione della poesia alla fanciulla.

IL RITO DEL MATRIMONIO

La funzione religiosa presenta delle differenze nella celebrazione del sacramento in relazione al periodo storico. Fino agli anni ’50 il rito del matrimonio consisteva nella manifestazione del consenso, la comunione e la benedizione degli sposi; non sempre vi era lo scambio delle fedi, in quanto, secondo un’antica usanza, solo la donna portava la fede nuziale, fede che era consegnata dal sacerdote direttamente alla sposa.
È con il Concilio Vaticano II che il rito viene profondamente rinnovato e diventa parte sostanziale della Celebrazione Eucaristica.

AL TERMINE DEL RITO

All’uscita dalla chiesa i novelli sposi erano applauditi da tante persone del paese e accolti dagli invitati con un fitto lancio di confetti, i “benìis e beniśét”; i bambini si lanciavano a raccoglierli da terra e si riempivano le tasche. Questo piccolo e dolcissimo tesoro si gustava con parsimonia, perché rari erano i dolcetti che i bambini potevano avere gratuitamente.

I PARENTI DEFUNTI

Non mancava il ricordo dei parenti defunti, i novelli sposi si recavano al Camposanto per deporre sulle loro tombe un mazzo di fiori.

UL PAST DE SPUŚA

Dopo la cerimonia religiosa, iniziavano i festeggiamenti che sarebbero proseguiti fino a notte fonda.
Al centro il grande banchetto, preceduto da una “Bücerada”, un brindisi augurale ai novelli sposi, offerto in un’osteria posta sul tragitto che il corteo nuziale percorreva a piedi, per raggiungere il luogo del pranzo.
Fino alla fine degli anni ’40, il banchetto era preparato presso la casa dello sposo: “Fò ‘l mangiò in cò”, suddiviso in due pasti: pranzo e cena. Molto abbondante il pranzo (un po’ più leggera la cena) che consisteva in numerose portate: salumi, risotto, carne (soprattutto pollame), tutto rigorosamente nostrano e deliziato da buon vino, (non era prevista la torta). La festa era allietata da canti, spesso accompagnati dalla fisarmonica.
La tradizione del banchetto di nozze presso una trattoria o ristorante, con il taglio della torta nuziale alla fine del pranzo, si afferma negli anni ’50.

CONCLUSIONE

L’abbondanza di cibo, di vino, di confetti, di canti era l’aspetto centrale della festa, in contrasto con la parsimonia, o meglio con la povertà che caratterizzava la realtà quotidiana. Tutto questo rappresentava un augurio di fecondità agli sposi, ma anche espressione di festa per tutta la comunità, che si sarebbe arricchita con la nascita di nuovi membri.
Basta ricordare un modo di dire, diffuso nei nostri paesi, relativo alla prima notte di nozze:

“I én na in lèc in düü e i én leva sö in trìi”  

Si sono coricati in due e si sono alzati in tre”.

Da “Storia della Bianza” – Volume V “Le Culture Popolari”

“Riti e pratiche del ciclo della vita” a cura di Rosalba Negri 

Foto di nozze in corte

[ Dal 1910 al 1912 ]

Ritratto di una coppia di sposi di Veglio

[ Sec. XX - Prima metà anni '20 ]

Corteo nuziale

[ 1946 ]

La sposa Brioschi Rachele

[ 8 febbraio 1950 ]